Cyberpunk 2077

 

È passato ormai un mese dal 10 dicembre, giorno di uscita di Cyberpunk 2077, quello che avrebbe dovuto essere il gioco dell’anno e che si è invece rivelato il più grande catalizzatore di polemiche delle recente storia videoludica. Quello che segue è l’antefatto, per chi a dicembre si fosse distratto un po’: annunciato nel 2012, Cyberpunk (allora senza il 2077) è il nuovo gioco di CD Project RED, studio polacco che si era fatto apprezzare in passato per la serie di The Witcher.

Nonostante uno sviluppo travagliato e diversi rinvii, Cyberpunk 2077 era ancora atteso come un gioco rivoluzionario, all’avanguardia sia tecnicamente che per contenuti. Accolto all’uscita da recensioni estremamente positive, il gioco si è però rivelato afflitto da numerosi problemi tecnici, al punto da risultare quasi ingiocabile sulle vecchie console e costringere CD Project RED a fornire scuse ufficiali e proporre rimborsi. Cosa possiamo imparare da questa storia?

** Per l’immagine di copertina ringraziamo @geminimotel, seguitela su Instagram! **

1. Ancora non c’è un metodo per fare i videogiochi

Se vi state chiedendo come sia potuto succedere, la risposta si trova in Blood, Sweat and Pixels, libro del 2018 di Jason Schreier in cui l’ex giornalista di Kotaku racconta le traversie che hanno caratterizzato lo sviluppo di oltre una decina di videogiochi, da mega produzioni a piccoli indie, tutte accomunate da un elemento: l’assenza di metodo di lavoro replicabile e tramandabile. Se la produzione di un film è oggi un processo codificato e standardizzato, per i videogiochi ancora non è così (e forse per la loro natura non lo sarà mai, chissà). Ciò rende impossibile anche per i producer più navigati, come quelli di CD Project RED, stabilire budget e tempistiche realistiche. Nel caso di Cyberpunk 2077, probabilmente, si è trattato di un gioco troppo grande e ambizioso per le risorse a disposizione dello studio che l’ha concepito, ma ciò non toglie che situazioni di questo tipo siano destinate a ripetersi. 

2. Abbiamo un problema con la stampa

In generale, certo, ma nello specifico parlo di quella videoludica. Parte del questione esplosa intorno a Cyberpunk 2077 è dovuta alle recensioni entusiaste per il gioco, maturate tuttavia in un contesto che spesso il lettore non conosce. La versione provata dalla stampa, infatti, è stata quella PC, l’unica ben funzionante e all’altezza delle promesse fatte, fornita solo 6 giorni prima della scadenza dell’embargo (per un titolo che richiede oltre 50 ore per essere esplorato con cognizione di causa). Nessuno si è chiesto perchè la versione fornita fosse solo PC, nessuno si è chiesto perchè le versione PS4 o Xbox One non fossero mai state mostrate. Sono domande che non ci si pone: l’arrivo del codice review è già un evento, condizionato per altro da una serie di clausole poste all’interno di NDA che in genere vietano persino di rilevare che si sta recensendo il gioco. Tutte cose che il lettore finale non sa.

Funziona così, da sempre, e lo dico da persona che scrivendo articoli su riviste di videogiochi si paga parte del mutuo. Il sistema si basa sulla distribuzione di codici prima del rilascio dei giochi. Per averli bisogna far parte di una cerchia più o meno ristretta di testate importanti. Dare brutti voti a un gioco atteso o criticare l’operato dei publisher/uffici stampa può voler dire l’estromissione da quella cerchia. Il problema non è a quel punto reperire i giochi, basterebbe compararli all’uscita, ma pubblicare in ritardo rispetto a tutti gli altri, quando l’hype si è già volatilizzato. Ma soprattutto potrebbe voler dire perdere investimenti pubblicitari. Tutto si regge su questa catena non virtuosa, a cui nessuno al momento ha ancora trovato un’alternativa economicamente sostenibile. Per questo motivo è stato facile per CD Project RED far passare sotto silenzio le versioni ingiocabili fino al momento del lancio. I colleghi che l’hanno recensito l’hanno fatto in buona fede, lavorando per altro in condizioni non semplice dovendo recensire il gioco in soli sei giorni, ma all’interno di un sistema che presenta problematiche a cui nessuno di noi (mi ci metto dentro anche io) ha avuto la forza di opporsi e che impedisce da molto tempo al giornalismo videoludico di essere vero giornalismo.  

3. L’acquisto al day one è un Kickstarter mascherato

La conseguenza dei due punti precedenti è che, oggi, l’acquisto di un videogioco al giorno di lancio è nella migliore delle ipotesi un azzardo, nella peggiore una forma di finanziamento alla lavorazione ancora in corso. In genere, più è grande la produzione, più è probabile che il gioco uscirà in un formato non definitivo, spesso su pressione degli investitori. Su un podcast che ascolto abitualmente e che spesso apprezzo, però, ho sentito ridere dell’ingenuità di chi preordina i giochi o li compra a scatola chiusa al day one, e non sono d’accordo. Non si può sempre scaricare la responsabilità sul consumatore. La versione console di Cyberpunk 2077 arrivata in commercio è tutt’al più un early access, venduto però a prezzo pieno. E non è la prima volta che succede: semplicemente in questo caso il rumore è uscito dalla bolla del mondo dei videogiochi e ha portato delle conseguenze. Pre-ordinare o comprare al day one non  un comportamento stupido, purché sia accompagnato dalla consapevolezza di ciò che si sta acquistando. 

4. Microsoft e Sony hanno dei problemi

E chi non ne ha in questo periodo?! Quelli di Microsoft e Sony potrebbero però essere un po’ più gravi. In primo luogo perchè la presenza di Cyberpunk 2077 sui loro store digitali ha esposto l’inconsistenza dei processi di certificazione, ovvero quel sistema di controllo che dovrebbe verificare di una serie di requisiti prima che i giochi siano disponibili all’acquisto. È stata la stessa dirigenza di CD Project ad ammettere che il gioco presentato alle due big non era pronto, ma è stato approvato ugualmente accettando sulla fiducia la possibilità di patch risolutive, che evidentemente non sono arrivate.
Ma non è tutto. La decisione di Microsoft e Sony di supportare ancora i vecchi modelli delle console, legata alla volontà di non alienarsi i milioni di utenti, e di crearne addirittura delle versione mid-gen, sta generando problemi ben prima del previsto. Il caso Cyberpunk  emblematico: gli utenti delle vecchie versioni hanno un ottenuto un titolo ingiocabile, quelli delle nuovo un gioco lontano dalle loro aspettative. 

5. Gli idoli portano solo delusioni

La comunità videoludica, ma non solo, ha questa pessima abitudine di elevare allo status di idoli quelle che nei fatti sono e restano aziende il cui fine ultimo è sempre e comunque generare profitto. Per diverse ragioni negli anni CD Project ha finito per rappresentare la parte dei buoni, incarnando lo sviluppatore buono, quello che tiene alla salute dei propri dipendenti e al contempo coccola i propri utenti con valanghe di contenuti e supporto post lancio. Finché la realtà si è rivelata diversa. I dipendenti di CD Project sono stati spremuti in crunch come accade in qualunque altro studio e i clienti sono stati volutamente tenuti all’oscuro dei problemi delle versioni PS4 e Xbox One (che difficilmente a questo punto potranno arrivare a una forma anche solo vagamente vicina a quella promessa). 
Nonostante ciò, CD Project risorgerà dalle generi: quello che la aspetta sarà un anno duro, in cui dovrà recuperare la fiducia degli appassionati con una valanga di sistemazioni e contenuti aggiuntivi gratuiti, ottenuti probabilmente ancora una volta a scapito della salute dei dipendenti, che a quel punto però interesserà poco al pubblico, ben più interessato a ritrovarsi con ua versione accettabile del gioco per cui ha speso soldi. 

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Claudio Magistrelli

Pessimista di stampo leopardiano, si fa pervadere da incauto ottimismo al momento di acquistare libri, film e videogiochi che non avrà il tempo di leggere, vedere e giocare. Quando l'ottimismo si rivela ben riposto ne scrive su Players.

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